Descrizione
Finestra ad oculo rimarcata da una fascia esterna decorativa in marmo verde e caratterizzata da modanature circolari rastremate e decorate nella parte interna con forme geometriche.
Notizie storico critiche
Dal punto di vista strutturale il tamburo rappresenta tutta la parte compresa tra la sommità dei pilastri (28 metri da terra) e la quota di spicco della cupola (58,85 metri da terra); la maggior parte degli studiosi però lo intendono come la sola fascia compresa tra il secondo e il terzo ballatoio, cioè tra la sommità dei quattro arconi e la quota di spicco della cupola (13 metri). Si tratta di una struttura a pianta ottagonale, alta circa 24,50 metri, con al centro di ogni faccia un grande occhio circolare strombato sia verso l’esterno che verso l’interno, con un diametro vuoto circolare di circa 4,65 metri. Nella parte inferiore poggia in parte sui quattro pilastri angolari, e in parte sull’intradosso dei quattro arconi a sesto acuto. Il suo rivestimento esterno fu realizzato alla fine del’400 a cura, secondo quanto afferma il Vasari, da Giuliano da Maiano (“incrostò di marmo, sotto la volta della cupola, le fregiature di marmi bianchi e neri che sono attorno agli occhi”), capomastro tra il 1477 e il 1490, e seguendo un modello lasciato da Antonio di Manetti Fiaccheri. Allo stesso Maiano è attribuito anche l’allargamento degli sguanci esterni dei grandi oculi, criticati dal Manetti biografo, che denunciava il travisamento dell’originale disegno brunelleschiano (“per certa ignoranza dei capj maestri, stativi poi, che presono gli sguancj dallo lato di fuori troppo larghi, che per avventura non vi sj rimedierà”). Gli oculi, dalla documentazione pervenuta, furono “finiti di serrare”, coi loro conci in pietra forte, nel maggio del 1413. A partire dal 1433 (cfr. Poggi, doc.710-711, 736-738) si pensava di ordinarne tre vetrate e nel gennaio del 1442 poi, ci sarebbe stato un consiglio per decidere sulla scelta di vetri colorati (cfr. Guasti, doc.202) . Tuttavia, risale al 1489, il documento che tratta della decorazione esterna di questi oculi del tamburo, e precisamente il pagamento, a Maso di Antonio di Berto da Settignano, del materiale "pro commissis fiendis in sguancis oculorum Cupole" (cfr. Guasti, doc. 321). Inoltre, come scrive Giuseppe Morolli nel 1980, il tamburo della cupola restò grezzo almeno fino a tutto il settimo decennio del Quattrocento, come si può vedere nel dipinto di Domenico di Michelino in Santa Maria del Fiore (datato attorno al 1465), dove alla base del tamburo sono raffigurati i conci a vista disposti a raggiera e solo poche specchiature in marmo bianco, incorniciate da liste di marmo verde. Mentre nell’affresco di Domenico Ghirlandaio, nella sala dei Gigli in Palazzo Vecchio (databile intorno al 1481 e il 1485), l’incrostazione delle tarsie bicrome arriva ad avvolgere la facce del tamburo fino al di sotto degli occhi, mancando ancora l’aggettante cornicione a ovoli e dentelli, nonché il sottoposto fregio. Luca Giorgi ha evidenziato che nell’opera del Michelino, le tracce del rivestimento interrotto alla metà delle cupolette delle tribune morte, avvalora la tesi che in origine esistesse un diverso progetto per il paramento delle parti alte. Tale rivestimento però fu modificato adattando le parti già esistenti quando fu presa la decisione definitiva in merito al raccordo tra cupola e navata centrale. Era questo un punto di difficile soluzione, e l’indecisione si protrasse per un lungo tempo, come sembrano testimoniare le tracce rilevate nella testata est del sottotetto della navata; solo alla fine si optò per la soluzione attuale, che se da un lato occultò parzialmente l’oculo occidentale del tamburo, permise comunque l’unificazione visiva di due parti dell’edificio altrimenti troppo discordanti.