Descrizione
La Porta detta 'del Paradiso' è stata realizzata da Lorenzo Ghiberti. Essa è posta su un gradino bronzeo rettangolare, e si compone di due grandi battenti rettangolari, elaborati a griglia, includenti dieci formelle quadrate, disposte in cinque registri di due formelle ciascuna. Gli sipiti e la trabeazione sono in bronzo fuso e cesellato ad alto e basso rilievo con elementi vegetali e animali; le formelle sono in bronzo fuso a cera persa, dorato, in basso e bassissimo rilievo (il cosiddetto "stiacciato" donatelliano). Le cornici di ogni battente sono composte da due listelli verticali a destra e a sinistra, e due orizzontali, in alto e in basso, più riquadri angolari con testine. I listelli orizzontali e quelli verticali sono decorati con ventiquattro personaggi biblici o profeti ad alto rilievo; quelli orizzontali (uno per ciascun listello) sdraiati entro nicchie, quelli verticali (cinque per listello) collocati in edicole cuspidate. Inoltre, tra di essi, facenti capolino da oculi, sono le testine di altrettanti profeti e sibille: quattro angolari, più quattro per ogni fila, cui si aggiungono, nella parte centrale, gli autritratti di Lorenzo Ghiberti e di suo figlio Vittorio. Gli oculi, le edicole e le nicchie, sono alternati da mazzetti di rose e gigli e girari vegetali a bassissimo rilievo. Le formelle raffigurano in dieci scomparti altrettante storie dell'Antico Testamento da leggersi dall'alto verso il basso e da sinistra verso destra, secondo quest'ordine: Storie della Creazione e di Adamo ed Eva; Storie di Caino e Abele; Storie di Noè; Storie di Abramo; Storie di Isacco, Esaù e Giacobbe; Storie di Giuseppe; Storie di Mosè; Storie di Giosué; Storie di Davide; Incontro di Salomone e della regina di Saba. Ogni singola storia è rappresentata all'interno di una singola formella, nel suo svolgersi secondo i vari momenti del racconto, e così ogni formella è multiespisodica, per via di una sintesi spazio-temporale degli avvenimenti raffigurati. Tale sintesi vede i personaggi disporsi secondo i vari piani dello spazio, in un rapporto studiatissimo tra ambientazione e protagonisti del racconto. Lo spazio è calcolato con le regole della prospettiva brunelleschiana, ma oltre che restituire unità narrativa, scandisce anche l'ordine delle azioni e dei personaggi, stabilendo per ogni avvenimento luoghi opportuni, da destra a sinistra, dal primo piano al fondo. Entro questa unità spaziale e narrativa è una grande varietà di notazioni: di figure, colte in gesti, espressioni e azioni diverse ed eloquenti; di abiti e di architetture, che variano dall'antico al moderno; di dettagli naturalistici, sia di piante, che di alberi e animali.
Notizie storico critiche
Le dieci formelle con le relative cornici provengono dalla Porta est del Battistero di Firenze, dove furono collocate da Lorenzo Ghiberti nel 1452. La documentazione nota relativa alla Porta è stata pubblicata da Krautheimer. La Porta fu commissionata a Ghiberti il 2 gennaio del 1425; tra il 1436 e il 1437 dieci riquadri e parte delle cornici erano già stati gettati. Nel luglio del 1439 anche la rifinitura era a termine, e sulla Porta lavoravano anche un figlio di Ghiberti e Michelozzo; nel 1444 sei riquadri erano completati, e ai lavori partecipava anche Benozzo Gozzoli. Nel 1445, era stato richiesto in Fiandra altro metallo, probabilmente per la fusione dei fregi degli stipitie dell'architrave, che tuttavia furono modellati solo tre anni più tardi. In quest'ultima fase dell'opera, troviamo fra i collaboratori, l'orafo Bartolomeo Cennini. Inoltre, numerosi pagamenti agli assistenti di bottega testimoniano che il lavoro, fra il 1448 ed il 1449 avanzava. Il 2 la aprile 1452, la porta era completata, e sia Lorenzo che Vittore s'impegnarono nella doratura, che fu ultimata nel giugno; il 13 luglio, i consoli di Calimala decidevano di collocare questa porta "in faccia alla cattedrale, a causa della sua bellezza". Nel 1446 Ghiberti assumeva l'impegno di completare il lavoro, e nel 1452 la porta era finita, eccetto che per la doratura. Il programma iconorafico della Porta dovette essere a lungo discusso. Abbiamo una lettera del 21 giugno 1424 di Abrogio Traversari a Niccolò Niccoli (in Krautheimerne 1956, ed. 1970, II, p. 159) nellla quale si dice che autore di tale programma era Leonardo Bruni (Krautheimerner 1956, ed. 1970, II, doc. 52). Quest'ultimo programma è noto attraverso un'epistola del Bruni stesso alla commissione delegata dall'Arte di Calimala. Si apprende da questa lettera che i pannelli proposti dovevano essere ventotto; essi dovevano inoltre illustrare quelle Storie dell'Antico testamento che poi furono rappresentate, eccetto che per l'ultima con L'incontro tra la regina di Saba e Salomone, che nel programma del Bruni era invece sostituita da Il giudizio di Salomone. Non si conoscono le ragioni del mutamento di questo proposito, nei dieci riquadri poi compiuti, ma è possibile che Ghiberti stesso avesse contribuito alla stesura del programma, come pare accennare nei suoi Commentarii, quando fa riferimento ad una "licenza" che gli fu concessa di condurre il lavoro della Porta, "in quel modo ch'io credessi tornasse più perfettamente e più ornata e più ricca". Molte fonti parlano della Porta: oltre ai Commentarii dello stesso Ghiberti, il Filarete nel suo Trattato di architettura; quindi il Gaurico nel De Sculptura; il Varchi nelle sue Storie fiorentine, dove gloria la porta per la sua unicità ed eccezionalità; nonché, ovviamente, il Vasari che nelle sue Vite la descrive, la loda, quindi riporta il famoso aneddoto di Michelangelo, secondo cui il Buonarroti la definì "del Paradiso". Nel 1652 la Porta è rammentata da Ottobelli e Berrettini (Trattato della Pittura e della Scultura), che la apprezzarono e affermarono essere Le storie di Giuseppe la parte migliore dell'insieme; poi, nel 1677 il Bocchi, nel Bellezze della città di Firenze, quindi il Del Migliore (1684, Firenze città nobilissima) e il Richa (1757, Notizie istoriche delle chiese fiorentine) trattarono della Porta giuicandola maggiore dell'altra del Ghiberti, detta Porta Nord. Nel 1774 Gregory e Patch pubblicarono una prima raccolta di incisioni della Porta, cui seguirono quelle di Gozzini e Lasinio nel 1821. Nel 1772 il Mengs ottenne di trarre dei calchi dei rilievi, e da quest'occasione nacque l'idea di una ripulitura della porta, compiuta da Pacini e Siries a spese dello stesso Mengs (Milanesi 1885, pp. 217-221). Toschi e Reymond esaminarono le innovità apportate dal Ghiberti alla tecnica del bassorilievo in termini pittorici; mentre Carocci si soffermò a notarne il nuovo decorativismo naturalista. Anche Venturi dibattè il problema del bassorilievo ghibertiano, in particolare riguardo la sintesi compiuta tra effetti pittorici e tuttotondo. Nel 1946 il Poggi ragionò sul problema della pulitura della Porta, conclusosi quell'anno, dopo che entrambe le porte erano state portate, per precauzione in tempo di guerra, prima in un tronco ferroviario abbandonato, poi nel cortile di Pitti. La pulitura, supervisionata da un comitato costituito da Longhi, Salmi, Colacicchi, Basaldella e Romanelli, fu diretta dal Poggi e dal Bearzi, esperto fonditore. Nel 1956 Fiocco notò la novità del riquadro interamente dorato, e non nelle sole figure, come in uso nel Trecento. Nello stesso anno vide la luce la fondamentale biografia di Krautheimer, che comprende la pubblicazione di tutti i documenti afferenti alla Porta. Nel suddetto testo, l'autore ipotizza che tutti i rilievi fossero modellati compiutamente già nel 1437, in contrapposizione a Planiscig e Pope-Hennessy, che, sulla scorta di certi dati documentari, ponevano al 1443 la data di completamento dei modelli di soli sei rilievi su dieci, posticipando al 1447 il termine per i restanti quattro. Infine, ipotizzava l'apporto del Traversari al programma iconografico e svolgeva confronti con opere del Trecento e altre contemporanee. Nel 1967 Ciardi Duprè concentrò la propria attenzione sull'apporto del Gozzoli, e ne riconobbe la mano nelle Storie di David. Nel 1978, in occasione del sesto centenario della nascita di Ghiberti e dell'avvio dei restauri, si intensificarono gli studi sulla Porta, sotto tutti i suoi aspetti: tecnici, stilistici e iconografici. Ciardi Duprè sottolineò nell'iconologia della Porta una rottura con la scolastica medievale per riattingere alle esegesi patrististica e alla pagina veterotestamentaria. Lo stesso anno Hartt riconobbe invece in un passo della Summa Theologica di sant'Antonino la fonte del programma, se in esso erano nominati nove dei dieci episodi della Porta, a proposito della Profezia della "Lucerna". Il volume di Clark e Finn ha valore soprattutto di riproduzione fotografica dei rilievi. Sei anni dopo, nel 1986, di nuovo Ciardi Durè, in occasione dell'esposizione del rilievo con le Storie di Giuseppe nella mostra "Donatello e i suoi", propose di riconoscere nell'episodio della distribuzione del grano, un encomio a Cosimo benefattore di Firenze. Nel 1978, con studi in loco fu proposto il nuovo e complesso restauro delle formelle (ne furono estratte quattro per un intervento preliminare), documentato da un articolo di Loretta Dolcini (che ne fu direttrice fino al 1996) nel 1985, e seguito l'anno seguente da un articolo del Bulst. Nel 1987 si pensò la sostituzione dell'intero originale con una copia in loco, che fu poi ealizzata sui calchi di Bruno Bearzi, finanziata da Coichiro Motoyama, realizzata con la doratura a freddo (quella a mercurio era stata nel frattempo vietata) e posta nel 1990, così da permettere il trasferimento dell'originale nei magazzini dell'OPD e darne avvio al restauro. Nel 1992 Paolucci dava una "lettura delle formelle di Andrea Pisano e Lorenzo Ghiberti", mentre nel 1998 Anna Maria Giusti pubblicava un rapporto sui progressi e sui problemi del restauro della Porta. Nel 1999, fu avviata la sperimentazione e quindi l'esecuzione della pulitura attraverso il metodo del laser, che permise un notevole acceleramento dei tempi di completamento del restauro. Nel 2001 Ghelardi pubblicò un seminario inedito del Warburg, di nuovo incentrato sul problema del pittoricismo ghibertiano nella Porta del Paradiso, seguito per un certo verso da Gentilini, che nel 2002 ragionava dell'opera dei maggiori artisti del primo Quattrocento fiorentino, mettendone a confronto le arti. Nel 2006, la Dora Liscia pubblicava la scoperta di alcuni punzoni per il fiorino a opera di Michelozzo e Bernardo Cennini, a tergo della porta. Nel 2007 viene pubblicato l'importante studio di Radke su vari aspetti dell'intera Porta, e lo stesso anno egli cura il catalogo della mostra tour negli Stati Uniti di alcuni pannelli. Sempre nel 2007 Bloch si è soffermato a valutare l'evoluzione del Ghiberti nelle Storie della Porta, dal punto di vista dello svolgimento narrativo, mentre nel 2008 focalizzò in un secondo studio l'attenzione dei rapporti tra Ghiberti e l'Arte di Calimala. Ancora nel 2010 Boschetto pubblicava un nuovo documento relativo alla fusione della Porta. Nel 2012 si compiva il restauro della stessa, suggellato da una pubblicazione riassuntiva dei trent'anni di lavori di Giusti e Radke, e l'8 settembre veniva di nuovo esposta al pubblico nel Museo dell'Opera del Duomo entro una grande teca contenitore, riempita a gas inerti. Nel gennaio dell'anno successivo un ciclo di conferenze promosse dal Centro Arte e Cultura del Museo dell'Opera del Duomo celebrava i capolavoro di Ghiberti sotto molteplici aspetti: storici, tecnici, stilistici, iconologici e di conservazione.
Relazione iconografico religiosa
Nell’opera del Ghiberti si possono rintracciare significati ulteriori nascosti sotto la superficie didascalica delle figure e delle storie. D’altronde è lo stesso Bruni nella famosa lettera a Niccolò da Uzzano a dichiarare l’intenzione di conferire alle formelle gradevolezza di forme e profondità di significato: «Bisognerà che colui che le ha a disegnare, sia ben istrutto di ciascuna historia, sicché possa ben mettere e le persone e gli atti occorrenti; e che abbia del gentile, sicché le sappia ben ornare [...]. Ma ben vorrei essere presso a chi l’avrà a disegnare, per fargli prendere ogni significato che la storia importa» (L. Bruni, Epistola “A Niccolò da Uzzano e agli altri deputati”, 1424, in F. P. Luiso, Studi sull’epistolario di Leonardo Bruni, a cura di R. L. Gualdo, Roma 1980, p. 102.). Tali significati sono tradotti dal Ghiberti attraverso l’ordine delle decorazioni lungo la direttrice verticale: la lettura delle storie dall’alto verso il basso rappresenta la discesa dell’uomo dal cielo alla terra in seguito al peccato originale e, al tempo stesso, tale movimento discendente richiama, appropriatamente al luogo, l’immersione del neofita nell’acqua della vasca, immagine della morte nel peccato e della deposizione di Cristo nella terra del sepolcro, (la risalita invece, che è il momento positivo della riemersione dell’uomo nuovo purificato, era invece simboleggiata dalle Storie di Cristo nella Porta Nord, che infatti hanno un senso di lettura inverso, ascendente). La discesa è intesa anche come separazione: dell'uomo da Dio, dell'uomo dalla donna, e dell'uomo da sè stesso, nelle prime nove formelle che vanno dal peccato originale alle ingiustizie tra Caino e Abele, di Isacco ed Esaù e dei fratelli di Giuseppe; fino alla ricomposizione finale nell'incontro di Salomone con la regina di Saba. In ques'ultima formella si spiega anche un ulteriore significato di questo tema delle 'divisioni' con un riferimento storico allo scisma della Chiesa d'oriente e al concilio di Firenze dove quella si ricompose con la latina. Più da vicino: muovendo un ragionamento dalla destinazione d’uso delle ante, e cioè considerandole nella loro funzione di aprirsi, si può cogliere qui, come fosse simbolico, un invito rivolto idealmente all’osservatore ad “andare oltre” le buie cornici fatte di terra (terra da cui crescono le piante rappresentate nelle cornici e negli stipiti, terra della creta del modello), per carpirne il contenuto numinoso. Questo secondo livello corrisponde alle ante e alle storie, distinte dal bronzo nero delle cornici perché rivestite con la luce dell’oro, metallo che per tradizione è immagine del divino, quasi a dire che la pagina di storia raccontata da quei riquadri è nutrita dall’interno di verità trascendente, ulteriore ai significati letterali. A questo secondo livello, è legato il carattere artistico dell'ornato, ossia dell'apparenza formale gradevole e attraente, e qui lo spettatore può ritrovare un significativo ordinamento dei riquadri e degli episodi, volto a estrapolarne un valore di annuncio neotestamentario, dedotto a seguito di un’esegesi sull’Antico testamento e apparentemente suggerito dalla geometria dell’architettura che inquadra le scene, la quale sembra rivelare la ratio divina sottesa al fluire delle vicende narrate. Più precisamente: le Storie veterotestamentarie si dividono in dieci riquadri, ordinati per coppie, da leggersi da sinistra a destra e – abbiamo detto – dall’alto verso il basso. Ma, come già è stato notato dalla critica (Il museo dell'Opera del Duomo a Firenze, Firenze 2000, p. 176), gli episodi trascelti sono ordinati per significato in tre terne di riquadri, cui se ne somma uno finale. Le prime tre formelle rappresentano un momento negativo, dell’allontanamento dell’uomo da Dio nel peccato dei progenitori, poi nel fratricidio di Abele, quindi nell’ebrezza di Noè. Le tre successive sono affratellate dall’avere per protagonisti personaggi che, nella tradizione patristica, sono prefigurazioni di Cristo come Agnus sacrificalis: Abramo che pone il figlio Isacco su un altare anticipa il Sacrificio eucaristico e la Passione; quindi la rinuncia della primogenitura da Esaù a Giacobbe ricorda come il popolo eletto non abbia riconosciuto il messia, e la storia di Giuseppe venduto dai fratelli e il suo scagionarli, preannuncia il Cristo che sulla croce chiede il perdono dei suoi carnefici. Infine, l’ultima terna comprende prefigurazioni della Resurrezione di Cristo, nella vittoria di Mosè contro gli adoratori del vitello d’oro, in Giosuè che abbatte le mura di Gerico, e in David che decapita l’empio Golia. Le tre terne hanno a conclusione, quasi per sigillo, l’Incontro tra Salomone e la regina di Saba, un episodio non previsto nella prima stesura del programma iconografico - s'è detto - ( A. Giusti e G. M. Radke, La porta del paradiso: dalla bottega di Lorenzo Ghiberti al cantiere del restauro, Firenze 2012, p. 73), e scelto in extremis forse per celebrare il Concilio di Firenze del 1439: a esso rimandano il soggetto e l’architettura stessa dell’ambientazione, così simile all’interno del Duomo di Firenze dove si si svolse la riconciliazione delle due chiese. Ma, più in profondità, l’Incontro tra Salomone e la regina di Saba si lega al discorso di tutta la porta in quanto simbolo del rinnovato incontro tra il Divino e l’umano nell’istituzione della Ecclesia. A dar figura a questo significato di Chiesa come istituzione divina, guidata dallo Spirito santo, ma che opera nel mondo e nella storia, l’episodio è stato posto per ultimo, affinché la sua formella si trovasse collocata nel punto della porta più basso, cioè il più vicino alla terra e il più lontano dal cielo. Questo tema della caduta umana nelle tenebre è esposto dall’immaginazione del Ghiberti non solo attraverso l’ordo delle formelle, ma anche attraverso l’invenzione delle stesse: dall’alto della prima infatti, scendendo con l’occhio verso l’ultima in basso, si nota come l’artista abbia progressivamente alzato l’orizzonte delle ambientazioni, variando così il rapporto proporzionale di terra e cielo, e anche come abbia ridotto la presenza del Divino, sia esso il Dio Padre o i suoi angeli. Si confronti, a riprova di quanto detto, il primo riquadro con l’ultimo: nell’Eden la porzione di cielo è ampia, abitata da processioni di angeli che salgono e scendono dal firmamento alla terra, e Dio Padre appare tre volte, due delle quali è sceso sul suolo del creato per toccare l’uomo. Nell’ultima, invece, il cielo è quasi scomparso, chiuso da un punto di fuga alto e ingombrato dalle architetture, immaginazioni di splendidi artifici umani che si sostituiscono anche alla natura. In questa il Dio Padre con i suoi angeli non compaiono, mentre è in evidenza una gran folla di uomini, posti, quasi tutti, significativamente, nella metà inferiore della composizione. Ma la porta conosce anche una lettura ulteriore e spirituale, che trascende il tempo della narrazione. Insegna san Paolo: «Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato» (2Cor 3, 14); e applicando questa simbologia alla lettura dei rilievi diremo che, secondo la “carne” questo percorso delle formelle procedente dall’alto al basso è di caduta, quindi negativo; ma “svelatolo”, esso è interpretabile anche in chiave positiva, come discesa della Provvidenza divina che opera nella storia, ossia del Cristo-luce giovanneo che è calato nella tenebra del mondo (T. Verdon, Firenze cristiana: cammini di fede e arte, Firenze 2012, p. 81): «la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta» (Gv 1, 5). Secondo questo doppio significato, letterale e simbolico, si possono leggere anche le cornici. Se in apparenza esse sono semplici elementi decorativi, alla luce di quanto visto circa le formelle che inquadrano, esse si chiariscono nella loro funzione di ribadire il loro “movimento” di discesa e ascesa, per mezzo dell’allegoria del seme piantato, che cresce verso la luce e verso il cielo. E nell’esser piantate, nel loro crescere, fiorire, fruttificare e spargere semi, attraverso di esse è espresso in linguaggio parabolico il segreto piano di salvezza di Dio, che agisce misteriosamente di generazione in generazione da Adamo a Salomone, per giungere al Cristo. Un operato che comporta anche potature e nuovi innesti, secondo le parole di Luca, che sembrano proseguire la metafora: «Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ, et ne cœperitis dicere: Patrem habemus Abraham. Dico enim vobis quia potens est Deus de lapidibus istis suscitare filios Abrahæ. Jam enim securis ad radicem arborum posita est. Omnis ergo arbor non faciens fructum bonum, excidetur, et in ignem mittetur» (Lc 3, 8-9. Cf. Mt, 3, 8-10). Nelle cornici dorate che inquadrano le formelle, sono rappresentati girari, mazzette di rose e gigli, posti a separare i clipei e le nicchie con profeti, sibille e personaggi dell’Antico Testamento. I girari e i mazzi di rose e di gigli alternate ai profeti, si trovano sullo stesso “livello” dei riquadri, quindi, intuiamo, sono da leggersi come collocate nel medesimo tempo precristiano delle storie, e possono perciò rappresentare quel mondo terreno, dove i figli di Adamo si moltiplicano, e cioè il popolo di Israele procede nella storia per generazione carnale. I girari hanno questo significato di tempo circolare, cioè antecedente la salvazione, secondo la concezione già agostiniana (Cf. Agostino d’Ippona, De Civitate Dei, XII 17, 1), mentre i mazzi di rose e di gigli sono forse allegorie del generare, se ritornano ai piedi dei patriarchi con le anime dei salvati, nel mosaico di Coppo all’interno del Battistero. Sui profeti e le sibille: solo loro colgono il disegno provvidenziale di Dio sotteso alle vicende dell'antico Testamento e che cioè trascende le particolarità fattuali del tempo umano delle storie. Per questo essi sono rappresentati nelle cornici delle ante con le teste che fanno capolino dagli oculi, a significare che “vanno oltre”, “si affacciano” sopra il tempo e lo spazio. La stessa espressione di volti abbagliati dalla verità che colgono, o di palpebre sforzate nel mettere a fuoco un orizzonte di eventi lontano e appena intuibile, l'hanno immaginata per i loro ritratti Lorenzo e Vittorio, i quali si sono raffigurati fare a loro volta capolino con le teste fuori dalle cornici, come per ricevere la luce, cioé ispirazione, grazie alla quale dar forma con le parole della natura e dell’arte, al senso più profondo e trascendente delle storie veterostestamentarie che furono chiamati a raccontare