Descrizione
La scultura rappresenta una figura femminile, tagliata e stondata sotto le spalle. La testa è velata ed incoronata, appaiono i capelli scompartiti in mezzo alla fronte. Il volto è ovale, gli occhi hanno un taglio molto allungato, manca la parte finale del naso. La veste sul petto è profilata da due file di quattro bottoncini.
Notizie storico critiche
Nel catalogo del Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore del 1891 la scultura viene attribuita alla scuola di Andrea Pisano e chiamata semplicemente "Busto di Santa". IL Poggi, nel catalogo del 1904, si chiede se possa trattarsi di una Santa Reparata e la attribuisce a artisti toscani del XIV sec. Venturi (1906) la interpretò come una Fede e la unì compositivamente all'altro busto femminile del museo (Becherucci/ Brunetti, 1970, p. 230, n. 23), in cui vide la Carità attribuendole entrambe a Giovanni Pisano. L'interpretazione iconografica venne presa per buona da Trombetti (1929) che però riconobbe nell'opera la mano di Tino di Camaino; in seguito anche Lànyi (1933) che ipotizzo una provenienza dal portale Est del Battistero, Carli (1934) e Valentiner (1935) si trovarono d'accordo sull'attribuzione.
Nel 1936 Ragghianti escludendo che potesse trattarsi di una virtù di Tino di Camaino, era propenso a credere che fosse una Santa Reparata da attribuire al Maestro di San Giovanni. Infatti nella mostra di Pisa del 1946, Scultura pisana del Trecento, l'opera venne esposta come Santa Reparata del Maestro di San Giovanni.
Bisognerà aspettare il 1952 con lo studio di Becherucci per tornare a una più sicura attribuzione a Tino di Camaino e a un'identificazione con la Fede che insieme alla Speranza (Becherucci/ Brunetti, 1970, p. 231, n. 24) e alla Carità avrebbero dovuto ornare il portale Est del Battistero, citando un documento del 1321 in cui si legge: “[…] alla porta di San Giovanni, doue si pongono scolpite le virtù, doue meglio paia che stia." (Vasari-Frey, Le vite…,1911, p.337, n. 24.)
Da questo momento non viene più messa in discussione la paternità dell'opera infatti Baldelli nel 2007 conferma l'attribuzione e Levin nel 2005, riconoscendola ancora una volta come opera di Tino di Camaino, propone un'alternativa provenienza dal portale Sud. La stessa viene ripresa nella scheda di catalogo curata da Matilde Simari per la mostra "La Primavera del Rinascimento".
Relazione iconografico religiosa
Nella Prima lettera ai Corinzi nel Nuovo Testamento san Paolo definisce le tre virtù: "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. [...] Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza e carità" 1Co 13,1. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica la fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci propone da credere, perché egli è la stessa verità. Sempre San Paolo, nel primo capitolo della lettera ai romani ci ricorda che: "Il giusto vivrà mediante la fede" Rm, 1,17 e "Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano." Eb. 11,6
La Fede è solitamente rappresentata come una donna vestita di bianco che regge in una mano la patena, il calice e l’ostia, mentre nell’altra brandisce una croce, indicando la fede nel Cristo crocefisso e nel Sacramento dell'Altare; può anche essere rappresentata con la mano destra sul petto, in piedi sopra un basamento di pietra perchè ella: "E' fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono." Eb. 11,1.
La sua veste è bianca perchè simboleggia la luce divina: "Questa dunque si fà vestita di bianco, e bella di faccia, perché come il color bianco ci mostra la similitudine della luce, quale è cosa esistente, e perfetta di sua natura, e il color nero ci mostra le tenebre, che sono solo privatione di essa; così dobbiamo noi credere, che chi ha fede perfetta, e formata con la carità habbia l'essere, e viva, e chi di questa sia privo si avvicini, o sia in tutto prossimo alla privatione, e alla morte eterna." Ripa, Iconologia, a cura di Sonia Maffei, Torino, 2012, p.186.