Descrizione
La scultura raffigura una testa femminile girata di tre quarti verso la sua sinistra, con lo sguardo rivolto in alto a destra. L'ovale del viso è pieno e con piccole labbra carnose, la punta del naso è caduta, gli occhi sono socchiusi e allungati. I capelli, divisi al centro, sono raccolti e ornati da una corona d'alloro.
Notizie storico critiche
Il frammento nell'elenco di opere destinate al Museo del 1886, è inclusa probabilmente fra le "Teste umane di varia forma e grandezza...di scuola fiorentina del XIV sec.", ma non viene menzionata nè nel catalogo del 1890 nè in quello del 1904. Attribuita dal Venturi a Tino di Camaino nel 1906, questa testa non ha mai posto problemi di attribuzione, solo il Ragghianti 1936 la vuole del Maestro di San Giovanni e il Weinberger riconosce la mano di Tino ma ne posticipa la datazione. Lànyi (1933) aveva messo in relazione questa scultura con la Carità e la Fede citando un documento del 10 dicembre 1321 in cui si parla di Virtù che "si pongono” a una porta di S. Giovanni, identificando i frammenti con le statue a figura intera che dovevano decorare la porta Est del Battistero.
Il Carli (1934), che impropriamente dice questa testa "alquanto rimaneggiata nella acconciatura dei capelli", non tratta del soggetto e si limita a riconoscere nelle tre figure femminili del museo "alcune testimonianze" dell’attività di Tino per il Battistero fiorentino dopo il 1322. Con Becherucci e Brunetti (1970) ogni dubbio di paternità e iconografia sembra sciolto anche in relazione al bassorilievo sulla base della Decollazione del Battista di Vincenzo Danti, a coronamento della porta Sud, in cui le tre virtù sono raffigurate.
Da questo momento non viene più messa in discussione la paternità dell'opera infatti Baldelli nel 2007 conferma l'attribuzione e Levin nel 2005, riconoscendola ancora una volta come opera di Tino di Camaino, propone un'alternativa provenienza dal portale Sud.
Relazione iconografico religiosa
Nella Prima lettera ai Corinzi nel Nuovo Testamento san Paolo definisce le tre virtù: "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. [...] Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza e carità" 1Co 13,1. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica la Speranza è la virtù teologale, che si riferisce cioè direttamente a Dio, grazie alla quale gli uomini desiderano il regno dei cieli e la vita eterna come suprema felicità, riponendo fiducia nelle promesse di Cristo: "L'attesa fiduciosa della benedizione divina e della beata visione di Dio".
Solitamente la Speranza è raffigurata nelle opere d'arte come una giovane donna dalle vesti verdi che con le mani congiunte guarda verso il cielo attendendo la salvezza; suoi attributi iconografici usuali sono l'àncora e il giglio, infatti sempre san Paolo nella lettera agli ebrei afferma: "In essa (nella Speranza) noi abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda". Eb 6,19.
Cesare Ripa la descriveva come: "Donna, vestita di verde, con un Giglio in mano, perché il Fiore ci dimostra la Speranza, la qual è una aspettatione del bene, sì come all'incontro il Timore è un commovimento dell'animo nell'aspettatione del male, onde noi, vedendo i Fiori, sogliamo sperarne i frutti, li quali poi, co'l corso di qualche giorno, ci dà la Natura, per non ingannar le nostre speranze, e se bene i Fiori tutti destano in noi la speranza, il Giglio nondimeno, come fiore molto più soave de gli altri, la porge maggiore. Vestesi questa figura di verde per la similitudine dell'herbe, che danno speranza di buona raccolta." Ripa, Iconologia, a cura di Sonia Maffei, Torino, 2012, pp. 551-552.