Descrizione
La statua, non lavorata nella parte tergale, raffigura un angelo àptero (senza ali) in piedi, che indossa una veste ed un mantello dagli orli riccamente lavorati e uniti, sul petto, da un fermaglio. I lunghi capelli sono divisati nel mezzo e cinti da un diadema. Con il braccio sinistro l'angelo impugna uno strumento a corde, individuato in una ribeca (V. Gai, comunicazione orale in Brunetti 1969) e con la mano sinistra reggeva l'archetto, quasi del tutto perduto.
Notizie storico critiche
L'opera proviene dal palazzo della Crocetta a Firenze – oggi sede del Museo Archeologico Nazionale ma un tempo residenza medicea, collegata ai conventi della Santissima Annunziata, di Santa Maria degli Angiolini e, appunto, della Crocetta – e fa parte, assieme ad una scultura poi trasformata in un Re David che si trova attualmente al Bode Museum di Berlino, di una serie di Angeli musicanti il cui nucleo più consistente (quattro statue) venne ricoverato nel giardino della villa medicea di Castello. Le sei statue furono spostate nelle diverse sedi a seguito della demolizione dell'antica facciata di Santa Maria del Fiore, nel 1586. I documenti (Poggi 1909), se non chiariscono quale fosse la loro collocazione originaria, attestano però che la serie era composta inizialmente da nove angeli, i quali furono eseguiti negli anni 1383-1388 da Jacopo di Piero Guidi (autore di quattro statue), Luca di Giovanni da Siena (tre) e Piero di Giovanni Tedesco (due).
Sino ai primi del Novecento, l'Angelo con ribeca era stato avvicinato alla cerchia dell'Orcagna (Reymond 1893, Supino 1898), con qualche significativa eccezione come quelle di Venturi (1906) e Wulff (1909), che pensarono rispettivamente a Niccolò Lamberti e Nanni di Banco. Sebbene Rathe (1910) riprendesse la generica attribuzione alla cerchia dell'Orcagna, fu Kauffmann (1926) a dirimere la questione dell'autografia della serie degli Angeli musicanti, collegando i dati stilistici ai documenti dell'Opera del Duomo resi noti da Poggi (1909): egli ascrisse pertanto l'Angelo con ribeca (e quello con cornamusa) a Luca di Giovanni da Siena, distinguendone la mano dagli altri lavorati da Jacopo di Piero Guidi e Piero di Giovanni Tedesco. Tuttavia, poco dopo, Brunetti (1932) preferiva attribuire l'opera a Giovanni d'Ambrogio, ripetendo tale posizione nel catalogo del Museo (1969); intanto Wundram (1968) ribadiva le ipotesi di Kauffmann e l'attribuzione a Luca di Giovanni, poi confemata da Kreytenberg (1979, 1981) ed oggi generalmente accettata.
Relazione iconografico religiosa
La questione della precisa collocazione di questa opera e degli altri Angeli musicanti all'interno della complessa decorazione della facciata del Duomo non è stata ancora risolta. Qualora si accertasse che gli angeli a cui erano destinate due paia di ali lavorate da Jacopo di Piero Guidi, e pagategli dall'Opera l'11 marzo 1384 («pro suo salario et remuneratione sui laboris manufatture duarum par alarum angelorum positorum supra ianuam principalem dicte ecclesie»: Poggi 1909), siano da riconoscere in due elementi della serie, si potrebbe ritenere con una certa fondatezza che gli Angeli musicanti corredassero l'apparato figurativo del portale centrale. La lunetta di questo – si ricorderà – era stata decorata durante la fase arnolfiana (1296-1310) con un gruppo scultoreo raffigurante la Madonna col Bambino fra santa Reparata e san Zanobi. In tal caso gli angeli musici avrebbero fatto da corona a tale immagine di "Maestà", esaltandola con il richiamo della musica celeste; e, non ultimo, alludendo anche alla fama goduta in tutta Europa dal duomo fiorentino, celebrato fra Tre e Quattrocento per l'eccellenza raggiunta dai suoi musici e cantori.
E' probabile, infine, che una raffigurazione così puntuale degli strumenti degli Angeli musicanti intendesse dar forma ad alcuni versi del salmo 150, un inno giubilante in cui si invita a lodare Dio «in sono tubae», «in psalteryo et cythara», «in chordis et organo», «in cymbalis». Si tratta dello stesso salmo che, qualche decennio più tardi, Luca della Robbia espliciterà figurativamente nella sua Cantoria, e non è da escludere che egli – in una certa misura – abbia tenuto in mente la serie trecentesca intorno al portale maggiore.