Descrizione
Il dipinto, tempera su tavola, raffigura uno dei primi quattro Dottori della Chiesa latina: sant'Agostino. L'opera venne eseguita assieme ad altri due: uno di fattezze simili e stesse dimensioni raffigurante, probabilmente, Sant'Agostino e l'altro di dimensioni maggiori raffigurante il Redentore o la SS. Trinità). Queste tre opere sono inserite entro compassi geometrici e attribuite a Mariotto di Nardo. L'unico carattere che lo accomuna alle altre due pitture che lo accompagnavano, è la mancanza di traverse sul retro, elemento che confermerebbe la loro collocazione originaria 'ad incasso', in stazionamenti predisposti nella volta dei baldacchini di cui parlano i documenti. Il personaggio, stagliato su un fondo dorato, impugna un pennino con la mano destra e regge un libro con la mano sinistra. L'azione dello scrivere, così come quella del leggere, rimandano alle figure dei Dottori della Chiesa che con i loro scritti affermarono e difesero l'ortodossia cristiana. Il soggetto occupa con la sua mole tutto lo spazio disponibile e nell’inclinazione della testa la punta anteriore della mitra viene tagliata dalla cornice della tavola. Molto suggestivo risulta essere il modo di trattare la veste e il panneggio, che grazie all’espediente delle velature, crea un forte gioco chiaroscurale delle pieghe che attestano come l’artista, conformandosi ai modelli coevi, abbia voluto ottenere un effetto di maggiore consistenza corporea. Il supporto ligneo è quadrilobato, composto da assi assemblate in senso verticale. Mancano le traverse delle tavole poiché erano parte della struttura architettonica e servivano per agganciare ad essa il dipinto; il taglio obliquo dello spessore dei lobati invece, favoriva l’incasso nelle strutture predisposte.
Notizie storico critiche
Non ci sono notizie relative a questo dipinto. I colori, gli ornamenti della veste e il soggetto fanno risalire il dipinto al xv secolo.Dai documenti pubblicati da Giuseppe Poggi nel 1909, emerge che questo dipinto, assieme agli altri dell'insieme, sarebbe ciò che resta di due cappelle, erette tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento nella controfacciata della Chiesa di Santa Maria del Fiore e demolite nel 1842. Sempre al Poggi risale poi, l’attribuzione che rimanda a Mariotto di Nardo, quale artista che ricevette pagamento nel 1404 per lavori di pittura, non meglio identificati, nella nuova cappella (1909, p. CX). Il tale documento viene specificato: “i co(m)passi ipsius celi”, espressione variamente interpretabile, che non supporta l’attribuzione. Questa però venne sostenuta dalla critica recente e, in particolare, da Boskovits (Boskovits M., 1975, p. 331) e M. Meiss. Fu proprio quest’ultimo a notare che l’elemento comune ai tre dipinti è la mancanza delle traverse sul retro, che giustificherebbero la loro collocazione originaria ad incasso in stazionamenti predisposti nella volta dei baldacchini citati nei documenti (Meiss M., 1954, XII). La copertura su suppone potesse essere a crociera o a padiglione e al suo interno vi erano incassati i compassi. Anche il Richa avvalora l’idea di questa struttura architettonica affermando che vi erano: “i quattro Dottori della Chiesa latina che mettono in mezzo Gesù Cristo” (Richa G, 1875, I, p. 23). Sappiamo inoltre che l'opera venne esposta temporaneamente nel Museo nel settembre 1996.
Relazione iconografico religiosa
Si tende a identificare il santo con Agostino, sulla base di alcuni attributi iconografici: il piviale verde, l'abito agostiniano che esce dal piviale, la Mitria vescovile, l'aspetto di anziano con barba canuta, il libro su cui sta scrivendo a significare la sua opera teologica