Descrizione
Si tratta di un angelo adorante visto di profilo in piedi su un frammento di un arco ogivale, fissato ancora entro gli schemi di una classicità ieratica fuori del tempo. Mostra l'accordo tra il blocco compatto di marmo e la ritmica, con un abbigliamento all'antica scandito da dinamici elementi triangolari del panneggio. Questo è reso nelle qualità tattili della stoffa e avvolge con semplicità il corpo lungo il quale ricade, identificandosi con il moto delle membra e con l'atto propriamente spirituale. Particolare maestria e precisione si ritrovano nelle decorazioni delle ali, che presentano una mutilazione nella parte superiore. La soda volumetria e la tensione lineare si uniscono al geometrismo della forma e all' "umanità" del suo volto individuando una linea che blocca nell'atto il corpo e lo spazio degli angeli con imperiosa evidenza.
Notizie storico critiche
L' angeli proviene dalla Collezione Bardini dove lo vide per la prima volta Georg Swarzensky (1904, p. 99) assieme ad altre sculture provenienti dalla distrutta facciata di Santa Maria del Fiore. Swarzensky attribuì l'angelo ad un allievo fiorentino di Arnolfo di Cambio, meno dotato, di quello che aveva invece eseguito i due angeli reggi-cortina. Fu la Schottmuller (1909, p. 293) a riconoscerlo per quello che, nel disegno del Poccetti, compare nei pennacchi del timpano sul portale della Natività da lei ritenuto una delle parti arnolfiane che il Talenti avrebbe incorporate nel suo presunto rinnovamento della facciata, opinione tra l'altro avvalorata anche dal Weinberger (1940-41, p. 72). Il Keller (1935, p. 41) lo ritenne eseguito da un aiuto arnolfiano, ma in una concezione grandiosa simile a quella degli autografi del maestro come la Santa Reparata e notò affinità tra la testa dell'angelo a sinistra e quella dell'angelo a destra nella tomba romana di Bonifacio VIII. Il Salmi (1941, pp. 158 - 159) notò nell'angelo a destra la stessa mano esecutrice della testa virile da lui rintracciata al Museo Archeologico di Firenze, diversa da quella cui egli riferisce l'altro angelo "più calmo e sereno". Il Toesca (1951, p. 218 n. 25) lo ritenne anch'egli di aiuti, ma più prossimo ad Arnolfo dei due angeli reggicortina. La Romanini invece non li considera opera autografa di Arnolfo; lo stesso dicasi per il Carli, il quale esclude l'intervento diretto di Arnolfo di Cambio e della Pomerici, per la quale l'angelo non è da ricollegare al complesso decorativo della facciata del Duomo di Firenze. La Neri Lusanna ipotizzò di identificarlo nei due angeli raffigurati nella parte tergale del presbiterio della Badia di S. Anna presso gli Orti Oricellari in una stampa di Emilio Burci del 1832. E' probabile che da questa proprietà lo abbia poi acquistato il Bardini il quale, a sua volta, lo avrebbe donato al Museo del Bargello. Come si legge dalla documentazione conservata presso l'Archivio dell'Opera, nel 1936 l'angelo passò in deposito al Museo dell'Opera del Duomo.Circola, in tutte queste opinioni, il riconoscimento di un'alta qualità: solo la prassi operativa in una grande impresa architettonica - plastica come la facciata di Firenze- induce a ritenere che il maestro ricorresse agli aiuti per queste parti secondarie. Ma gli aiuti arnolfiani dovevano, come è stato riconosciuto (1968, Catalogo della Mostra di Parigi, p. 49, n. 78) agire sotto la continua direzione e spesso con l'intervento del maestro. E la vigoria plastica di questa figura lo dichiara, anche se lievi differenze siano imputabili a due mani diverse, che non tradiscono,però, il livello cui Arnolfo era giunto nelle parti più evolute della facciata dopo il 1300.
Relazione iconografico religiosa
L'iconografia dell'angelo - che in particolare l'arte medievale aveva introdotto raramente se non era richiamato dai testi sacri- a partire dal '300 interviene sempre più nelle sacre rappresentazioni pittoriche e scultoree, mentre l'iconografia tradizionale si modificava in tanti aspetti cedendo sempre più all'immaginativa individuale degli artisti. Liberato dagli atteggiamenti ieratici e dal formalismo delle gerarchie, l'angelo si avvicina nuovamente all' "umanità" e parve idealizzare gli affetti; vengono esaltati ed espressi una sovrumana forza e libertà di movimento sciolta dal peso terreno. In particolare, le figure isolate o in coppia (come in questo caso) di angeli intenti ad adorare il Sacramento o la Vergine ebbero grande fortuna nella scultura italiana del '300; le loro disposizioni simmetriche e la loro subordinazione alla decorazione non limitò la libertà degli artisti che invece impressero tutta la varietà del proprio temperamento.Nel caso specifico l'angelo - come la maggior parte delle statue inserite nelle nicchie o nelle lunette dei portali della facciata di Santa Maria del Fiore - richiama un unitario tema iconografico d'argomento mariologico. Il programma iconografico originario, infatti, doveva essere molto ampio e doveva comprendere un ciclo scolpito con storie dell'infanzia della Vergine, di cui oggi restano frammenti.