Descrizione
Il dipinto, tempera su tavola in legno di pioppo, è racchiuso in una cornice a motivi geometrici e perle a rilievo e presenta una scena centrale e quattro scenette laterali, due per lato. Al centro San Zanobi, vescovo di Firenze con mitra e pastorale, affiancato dai Santi diaconi Eugenio e Crescenzio. Ai lati le scenette raffiguranti quattro miracoli del Santo. Tra queste, in alto a sinistra, la scena della pellegrina francese che affida il figlio morto schiacciato da un carro di buoi a San Zanobi. In basso a sinistra, San Zanobi resuscita il bambino francese. In alto a destra invece, una scena che si ispira ad una leggenda narrata da Clemente Mazza (1475-1487, ed. 1863) secondo la quale il Santo, in viaggio sugli Appennini in direzione della Romagna, dove avrebbe dovuto consacrare una chiesa, incontrò i due ambasciatori mandati a Firenze da Sant’Ambrogio con il compito di condurre in città le reliquie di alcuni martiri. Uno di loro, chiamato Simplicio, era stato disarcionato da cavallo ed era morto e il Santo lo aveva riportato miracolosamente in vita. In basso a destra, San Zanobi libera un fanciullo indemoniato.
Notizie storico critiche
Il dipinto viene citato dal Richa (III, 1757, p. 108) come una "tavola di maniera greca" mentre Ricci (1896, p. 349) lo cataloga come di maniera bizantina. Sirèn invece (1922, pp. 112 e segg.), lo inserisce in un gruppo di dipinti sotto il nome del Barone Berlinghieri, ipotesi confutata dal Suida (1922, p. 322) che per primo riconobbe nell'opera la mano di un artista fiorentino, seguito dal Volbach (1924, pp. 231, 243). Van Marle (V, 1925, p. 418) vi vide un lontano rapporto con l'arte del Berlinghieri. Offner (1953, p. 26; 1966, p. 41) vi riconobbe la mano del Maestro del Bigallo, autore del crocifisso del Museo del Bigallo, delle Madonne del Conservatorio delle Montalve alla Quiete, della collezione Acton, del Museo di Nantes e della collezione Ham Pittsburg. Inoltre individuò il dipinto come primo esempio noto di figura di Santo affiancato da Santi in sottordine. Questa proposta fu accettata dalla Vavalà (1929, p. 716), dal Kaftal (1952, p. 1036 ) e dal Ragghianti (1955) per il quale il dossale, assieme alle pale delle Madonne di Nantes e Acton, e a quella del Museo Bandini a Fiesole, evidenzia una maturazione nello stile del Maestro del Bigallo. Cambiamento questo, che coincise con la fondazione della compagnia di San Zanobi nel 1244. Anche Garrison (1949, pp. 139, 141, n. 363) accettò l'attribuzione al Maestro del Bigallo ma ipotizzò l'intervento di aiuti. Il Toesca (I, 1927, p. 1039, n. 46; 1965, p. 1038, n. 46) lo citò a proposito della pittura fiorentina del Duecento: "tra altri dipinti, anteriori o estranei alla maniera di Cimabue". Hager (1962, pp. 91 e segg.) rilevò l'importanza iconografica di questo dossale con il Santo al centro e scenette laterali, quale esempio tra i più antichi conservati. Per dimensioni e formato lo studioso inoltre, suppose che poteva trattarsi di un altare-sarcofago. Poggi (Corpus, sez. III, vol. V, 1969, pp. 91, 210) riporta una deliberazione del settembre del 1379 dove si afferma di voler risistemare una tavola d'altare dedicata a S. Zanobi, probabilmente riferendosi a questo dipinto. Esistono anche documenti d'archivio, che indicano la vendita dell'opera. Al 24 ottobre del l439 risale una proposta di vendita per sei fiorini, cui segue un pagamento di quattro lire. Il 13 novembre dello stesso anno, venne chiamato l'orafo Francesco di Niccolò per fare dei ritocchi al dipinto, danneggiato in seguito ad uno spostamento e infine il 24 dicembre del 1440 è documentato un pagamento di una lira a Piero Chellini pittore, per aver eseguito le stelle di stagno che dipinse sopra il dossale. Pare inoltre, come sostenuto da Mazza (ed. 1863, p. XXI; ma v. anche Poggi G., 1907, pp. 113 e segg.) che nel 1487 il dossale si trovava ancora nella Cappella di San Zanobi, luogo ove ora è collocata l'Ultima Cena di Giovanni Balducci. Nel 1786 il marchese Alfonso Taccoli Canacci comprò dalla Compagnia, per conto del duca di Parma Ferdinando di Borbone, il dossale, che nel 1865, dalla guardaroba granducale entrò nella Galleria di Parma. Da questa, mendiante un cambio con altre opere, le Gallerie di Firenze, su richiesta dell'Opera di Santa Maria del Fiore, poterono farlo tornare a Firenze nel 1928 (Sorrentino, 1928, pp. 135 e segg.) e lo depositarono fin da allora nel Museo. Non molto dopo fu donato alla Compagnia di San Zanobi, che aveva sede in una parte della Canonica di Santa Maria del Fiore: al 7 ottobre del 1491 troviamo infatti nei libri della Compagnia, una partita di pagamento a "maestro Lucha per parte de lattavola de l'olmo di San Zanobi cioè di ridipignierla e rachonciarla". La scritta, aggiunta in epoca successiva al di sotto della pittura e poi tolta in occasione dell'ultimo restauro viene riportata sia da Ciandella (Ciandella A., 2005) che da Richa. Inoltre sia Del Migliore (1964, p. 67) che Richa riportano una scritta che fu aggiunta in epoca più tarda al di sotto della pittura e che fu tolta in occasione dell'ultimo restauro:
"CUM DIVI ZENOBII CORPUS CONTINEBAT UR CONTACTU,ARIDA ULMUS IN FRONDES FLORESQUE ERUPIT EX EAHANC EXTRUTAM TABULAM FLORENTINI CIVIES OB TANTI MIRACULI MEMORIAM VENERENTUR".
Relazione iconografico religiosa
L’arte figurativa ha attinto da diverse fonti per rappresentare il personaggio e la sua storia e nel tempo, si è andato consolidando un preciso modello iconografico del Santo, con l’aspetto di un anziano, spesso con la barba, vestito con abiti vescovili, piviale, mitra e pastorale. L’elemento distintivo della figura di San Zanobi, che in quest'opera pare manchi, è il giglio, fiore simbolo della città di Firenze, che il più delle volte è presente sugli indumenti, ma può comparire anche come semplice motivo ornamentale nell’aureola, come nel trittico di Lorenzo Monaco agli Uffizi.
Divenuto vescovo della città, San Zanobi esercitò con abnegazione l’attività episcopale, evangelizzando completamente Firenze ed i dintorni. Venne ricordato da Paolino come il “vir sanctus” e più tardi riconosciuto come “Apostolo di Firenze”. Il Santo vescovo è quasi sempre raffigurato in gruppo, spesso con la Vergine e i Santi e poche sono le rappresentazioni isolate. Tra miti e leggende il personaggio di San Zanobi è, dunque, indissolubilmente legato alla storia delle origini di Firenze e con San Giovanni Battista, eponimo della diocesi e Santa Reparata, eponima della cattedrale, riveste a pieno titolo il ruolo di patrono della chiesa fiorentina.