Descrizione
Il fusto del reliquiario architettonico dei Santi Apostoli é costituito da una base poliloba e fusto modanato con nodi. Presenta soggetti profani e una decorazione a "crazie" (catene di dischi sovrapposti e scalati), baccellature, modanature, rosette e motivi a piume di pavone.
Notizie storico critiche
Il reliquiario, contenente le reliquie dei Santi Apostoli, è il risultato di una ricomposizione tra il fusto e la base di un reliquiario più antico, probabilmente quello originario, e il tempietto, contenente le reliquie, di evidente fattura tardocinquecentesca.Il reliquiario (Becherucci, II, 1969, pp.247-248) è probabilmente menzionato, per la prima volta, nel verbale della visita pastorale dell’Arcivescovo Pietro Niccolini nel 1633, quando viene descritto nell’armadio della cappella della Croce come <<un vaso a ciborio in seangolo con piede in otto angoli aovati tutto di rame dorato con diversi lavori e smalti, collocatovi in una borsa un cannellino d’osso di S. Andrea Apostolo, due pezzi d’osso di S. Jacopo, un osso di S. Brizio, una pietra del monte Calvario>>. L’opera descritta sembra realmente corrispondere al reliquiario conservato nel Museo dell’Opera del Duomo anche se il Richa, riportando le reliquie della Cattedrale fiorentina, cita solamente le reliquie di San Jacopo e di Sant’Alessio. Nell’edizione del testo del Cocchi (1901, p.30) l’opera viene menzionata solo brevemente senza specificarne la cronologia, attribuendola a Niccolo Bartolini.La documentazione successiva, invece, fa riferimento alla presenza di aggiunte del XVI secolo alla struttura quattrocentesca del reliquiario, tesi confermata prima dallo studioso Paatz (1952, p. 386) e poi, nel 1964, da Filippo Rossi (1964, p.74). La Becherucci, infatti, cercò di approfondire il problema del rimaneggiamento del Cinquecento, operazione comune in questo tipo di oggetti. Secondo quanto riporta il Richa (V, 1757, p. LII), parte delle reliquie contenute nella teca, cioè quelle di San Jacopo e di San’Alessio, erano collocate entro l’altare maggiore di San Giovanni, da cui poi furono tolte in seguito all’alluvione del 1557, e quindi riordinate in una cassetta di piombo <<in una stanza dell’Opera detta degli argenti>> dal preposto del Battistero, Orazio Berindelli, nobile di Pescia, nel 1596. Tali reliquie erano state portate da Roma da un frate vallombrosano. Fu proprio questo ritrovamento a causare l’intervento nel reliquiario, consistente nell’integrazione del tempietto con la reliquia di San Jacopo proveniente proprio dal Battistero di Firenze. Infatti, il carattere classicheggiante della teca potrebbe corrispondere proprio all’epoca del riordinamento del Berindelli, intorno al 1564, data del ritrovamento della reliquia. Nel primo Ottocento furono poi aggiunte le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo e del beato Ippolito Galantini, montate insieme alle altre su un tempietto a sei scomparti. Nei polizzini posti sotto i frammenti si legge “EX.OSS.S.ANDREAE APO.”, “EX.OSS.S.IACOBI AP. MAIO.”, “EX. OSS. S.BRICII (?) EPI. CON.”, “EX. OSS.B.HIPPOLYTI GALAN.CON.”, “EX.OSS.S.PETRI AP.”, “EX. OSS. S.PAULI APO.”.Completamente diverse, invece, le forme e le decorazioni del fusto e del piede, goticizzanti e classiche, che rimandano ad elementi della prima metà del XV secolo. Per la parte più antica, è stato considerato come autore Niccolò Bartolini in quanto il suo nome risulta inciso sul nodo centrale del fusto, anche se non esistono notizie di un orafo con questo nome. Ma, i motivi decorativi e la loro esecuzione presentano affinità stilistiche con il Bacino Liturgico di rame sbalzato del XV secolo conservato al Museo dell’Opera del Duomo su cui compaiono le imprese araldiche della famiglia Bartolini-Salimbeni, di primo piano a Firenze nel XV secolo, eseguite dalla stessa mano. Questo, quindi, fa pensare che il nome di Niccolò Bartolini non sia quello dell’autore del reliquiario originale, ma quello del committente sia di esso che del Bacino Liturgico. Interesse per le arti e per le donazioni di preziosi oggetti alle chiese erano nelle tradizioni della famiglia. La Becherucci identifica il personaggio con Niccolò di Bartolomeo, nato verso il 1400 e impegnato in importanti cariche pubbliche fino al 1458, quando fu allontanato dalla politica in quanto sostenitore del partito antimediceo, e morto nel 1463; di conseguenza, data l'opera verso la metà del XV secolo, epoca in cui visse appunto il Bartolini. La doratura grossolana e uniforme del manufatto, forse causata dai restauri del Settecento che tutte le oreficerie del Duomo subirono, ha livellato e appiattito l’effetto dei rilievi, togliendo la vivacità che ancora appare invece nel Bacile Liturgico. Siamo quindi di fronte a ad una delle rare testimonianze di quella oreficeria fiorentina andata in gran parte distrutta per il cambiare del gusto e per la necessità, in tempo di guerra, di utilizzare altrimenti il prezioso materiale.Il reliquiario è privo di sigilli esterni.Una descrizione del 1676 parla anche di sei piccoli angeli in rame dorato, oggi scomparsi, senza menzionare la collocazione originaria.
L'opera é stata esposta presso il Convento di San Marco nel 1933 in occasione dell'esposizione "Mostra del tesoro di Firenze sacra".
Relazione iconografico religiosa
Funzione del reliquiario è la degna conservazione ed esposizione della reliquia, generalmente frammenti di ossa o di altre parti del corpo, oppure oggetti ad essi appartenuti o frammenti di essi, ad esempio del vestiario, oppure ancora oggetti miracolosi. La reliquia e il suo culto si basano sulla fede nella risurrezione dei morti, ovvero sulla dottrina della risurrezione della carne e sulla convinzione che Dio non permette che il suo santo "veda la corruzione" (Sal. 16 [15], 10; At. 2, 27), e si fondano sulla credenza in una vita ulteriore e in una continuità di azione del defunto.