Descrizione
Il reliquiario è costituito da una cassettina a forma di parallelepipedo in rame dorato, con alcune parti in argento lavorato a sbalzo e un coperchio trapezioidale. Il basamento è ornato da archetti polilobati a traforo e da due anelli ai lati, che ricordano, forse, la forma delle barelle sulle quali si portavano le reliquie. La cassetta vera e propria, consta di una montatura metallica perlinata che divide i lati maggiori del cofanetto in tre parti, consentendo la visione della reliquia. Agli angoli del coperchio, anch'esso come la cassetta decorato con racemi, sono collocate le statuette fuse di quattro angioletti oranti in argento. La reliquia delle catene di San Pietro, è appesa ad un ferro nascosto sotto il coperchio e poggia su un cuscino di velluto rosso con galloni d'oro, cui è fermata da due fiocchi di nastro rosso.
Notizie storico critiche
ll reliquiario a forma di piccola urna, contiene diciotto anelli della catena di San Pietro. Questa reliquia, come attestato dai documenti dell'archivio dell'Opera del Duomo, faceva parte degli oggetti donati da Federico Chiaromonte abate di San Benedetto, al Duomo di Firenze nel 1439. Il Minerbetti (1615, p. 38) cita la cassetta come facente parte delle reliquie della Cattedrale di Firenze. Dunque la reliquia, non potè essere dono, come sostenne Del Migliore (1684, p. 23), della Contessa Matilde, dal momento che non se ne fa cenno nell'inventario della sagrestia di Santa Reparata del 1418, mentre compare tra le reliquie della donazione Chiaromonte. Inoltre, la sua sistemazione dovrebbe risalire ad un lasso di tempo compreso tra il 1566, quando le catene di San Pietro risultavano ancora conservate in una cassettina assieme ad altre reliquie, e il 1615. Il Cocchi infine, dopo il confronto di questa con la reliquia romana di San Pietro in Vincoli, affermò che le similitudini erano molteplici, sia nella grossezza che nella forma (1903, pp.26-30). Grazie a quest'ultimo inoltre, si riuscì a datare, per la prima volta l'opera al XV secolo. Fu così che nell'Esposizione di Firenze sacra del 1933, il reliquiario fu genericamente datato al XV secolo senza fornire specifiche notizie circa l'esecutore. Nella recensione alla mostra, il Rossi (1933, p. 222) inserisce questo reliquiario nel novero di quelli "ad urna", considerandolo non anteriore al 1439, data della donazione Chiaromonte. Il Wackernagel (1938, p. 92) descrive erroneamente gli angioletti del coperchio come inginocchiati e data la cassetta intorno al 1430. Sarà la Becherucci, per la prima volta (1969/70, p. 251), a datare, basandosi sulle fonti documentarie, il reliquiario a dopo il 1439; nota inoltre, che i piedi dorati a zampa di leone, il cartiglio con la scritta: "PARS CATENARUM S. PETRI AP." e forse anche la lamina incisa che contorna il coperchio, sono di epoca successiva rispetto alla fabbricazione del reliquiario. Inoltre, sempre a detta della Becherucci, l'intervento più tardo dovrebbe risalire al XVIII secolo e quindi, con ogni probabilità da attribuire a Bernardo Holzman. Del resto, anche le ali degli angioletti, di lavorazione superiore rispetto al resto, sembrano più tarde. Per gli interventi di restauro invece, dai documenti emergono soltanto una serie di interventi compiuti in occasione della visita del 1591. Nel 1646, vennero infine risistemati due vetri e gli staggi. Nel 1675 furono fabbricate nuove serrature, mentre dalla visita del 1699 emerse che il reliquario "stava bene", quindi non fu giudicato necessario l'intervento di Holzman. Inoltre, l'urna presenta nell'ornamentazione, nella struttura e nella collocazione degli angioletti agli angoli del coperchio, elementi che si ritrovano molto frequentemente nella prima metà del Quattrocento. Tuttavia, oggetti molto simili a questo preso in esame, si ritrovano sovente nella produzione del tre e quattrocento in Toscana. Si confronti quest'opera con una cassetta conservata nel Museo dell'Opera di Siena, che presenta una decorazione floreale simile nel coperchio ed un'urna in legno con lo stesso motivo decorativo che incornicia le pareti in vetro, entrambe datate alla prima metà del XV secolo.
Relazione iconografico religiosa
A detta di Sant'Agostino il ferro delle catene di San Pietro era stimato addirittura più dell'oro fra i cristiani, in quanto le catene che tennero prigioniero il santo, si credeva avessero assorbito i suoi tormenti e che si fossero fuse una volta giunte a contatto. Il valore devozionale assunto dalla reliquia nei secoli, fu tale che, a detta di San Gregorio il Grande (Croiset G., 1728, p. 499), era usanza comune, già al suo tempo, limare le catene, poiché la polvere che ne derivava, era giudicata miracolosa, grazie appunto all'intercessione del santo. Pare infatti, che fosse il Papa stesso a limarle per averne la polvere, per poi raccoglierla entro piccole croci o chiavi d'oro che divenivano catenine da portare al collo come amuleti. Ne deriva, dunque, che le famose due catene di San Pietro vennero più e più volte smembrate per fini devozionali. Per questo motivo, esse risultano scomposte e conservate in più luoghi: da Roma (Basilica di San Pietro in Vincoli) a Firenze (reliquiario della Cattedrale di Santa Maria del Fiore).