Descrizione
Il reliquiario è formato dall’unione di due elementi lavorati in epoche diverse: la base a urna, di forma esagonale, trecentesca; il fusto, corredato di un vasetto cilindrico, di chiara impronta quattrocentesca. L’urna presenta sei finestre quadrate ornate da archetti trilobati chiusi da cristalli e poggia su sei piedini con volute barocche. Lungo il perimetro della base dell’urna corre una scritta in caratteri gotici. Tra una faccia e l’altra dell’urna si trova una decorazione quadrangolare in rilievo . Sulle cornici che circondano sopra e sotto la base è inserito un motivo a dentelli che la percorre per tutta la sua larghezza. Il piede esagonale del fusto poggia sull’urna, ha un doppio gradino ed è decorato da motivi fitomorfi e trafori. Sul doppio gradino si imposta un piede esagonale bombato che si raccorda ai due gradini sottostanti per mezzo di sei foglie acantiformi che si distendono su una superficie lavorata a sbalzo con motivi a candelabre. Segue un nodo esagonale schiacciato cui si raccorda il prosieguo del fusto dove un piccolo piede baccellato sostiene un nodo a vaso caratterizzato da una baccellatura alternata a foglie e sovrastata da una cornicetta a roselline. Il fusto prosegue ancora con un nodo a disco cesellato sul quale si imposta un altro nodo con cornice baccellata dal quale si leva un altro nodo schiacciato sul quale si imposta il sottocoppa baccellato. Su questo si colloca il vasetto cilindrico di cristallo fermato al fusto da tre colonnine con volute settecentesche stilizzate, i cui pinnacoli fuoriescono sulla cornice della cupoletta, e coronato da una cupoletta ad embrici, o scaglie, sormontata da una crocellina.
Notizie storico critiche
Il testo dell’iscrizione sulla base del reliquiario inferiore riporta come il re dei Franchi, Carlo Magno avesse donato a Firenze le reliquie che erano state raccolte nell’anno 805 dell’arcivescovo Turpino e come nel 1398 fossero state poste nella cassetta esagona. Secondo il Richa (1757), seguito dal Cocchi (1903), la reliquia di San Siemeone sarebbe stata donata all’arte di Calimale nel 1394 dalla veneziana Nicoletta Grioni ma pare che la sua donazione consistesse solo in ossa di San Giovanni Battista. Delle reliquie che invece si presumevano donate da Carlo Magno e che l’iscrizione identifica con quelle contenute nella nostra cassetta, faceva parte anche il frammento del Sacro legno della Croce di Cristo ora in Duomo e conservato oggi nella Croce d’argento del Pollaiolo. Un documento senza data riportato dal Frey (1911 p. 368), tratto dai perduti libri contabili dell’arte di Calimala, databile al 1425, parla di “un piedistallo d’argento dorato a sei facce, tondo, con sei lioncini, uno a ciascun canto, con lettere d’intorno, in sul quale piedistallo la reliquiera d’argento smaltata e dorata, nella quale reliquiera si mettono le reliquie che si trovarono nell’altare di San Giovanni nel forzarino del bronzo che è a piè del crocifisso dell’altare in San Giovanni: della quale reliquiera d’intorno sono le lettere d’oro smaltato che contano chi mise dette reliquie nell’altare, e contano, che furono messe da Carlo Magno”. Il Gori aveva letto l’iscrizione copiata dal reliquiario originario che era stato creato come base per la reliquia del Legno della croce. In un altro documento del 1430-32 riportato dal Frey, infatti (p. 369), si parla di “una cassetta di bronzo, in parte rotta, sta sotto il crocifisso, nella quale per adrieto si trovorno reliquie di Santi”. La descrizione dell’urna corrisponde, comunque, perfettamente con quella dell’urna in oggetto anche se i sei leoncini, uno per angolo, furono sostituiti agli inizi del Settecento con grande probabilità da Bernardo Holzmann, l’orafo che si occupò di restaurare le argenterie del Duomo e di San Giovanni e che nel presente reliquiario eseguì anche il vasetto cilindrico e le colonnette di raccordo con il fusto. Poiché in un altro documento, sempre riportato dal Frey (p. 269), si parla di un urna nella quale “si mettono le reliquie che vengono da Vinegia”, si può supporre che le urnette esagonali costruite alla fine del XIV secolo fossero due, una destinata a raccogliere le reliquie della donazione Grioni, una le reliquie che si trovavano dentro l’altare del Battistero, ma che oggi il contenuto di ciascuna di esse risulti scambiato. Se questa è l’urnetta alla base del Reliquiario di San Simeone stilita, l’altra è quella che si trova alla base del reliquiario del braccio dell’apostolo Filippo. Oggi però il contenuto delle urnette non corrisponde più alle iscrizioni. Secondo un inventario del 1818 (Bicchi, 1999), a questa data le reliquie sembrano tutte riunite nell’urnetta. Il Richa, che (1757) aveva parlato delle reliquie di san Teodoro e Mercurio come inserite in due scatole d’argento oggi perdute, ci permette comunque di supporre che il contenuto delle urnette vi fosse stato inserito tra la seconda metà del XVIII secolo e il 1818. Nel vasetto di cristallo si trova un frammento osseo di San Simeone Stilita con il cartiglio SCTI SIMEONI STILITI HEREMITA. Sulla reliquia è applicato un sigillo in cera lacca dell’arcivescovo Martelli. L’inventario del 1818 ricorda con precisione le reliquie contenute nella base : Cranio di San Maurizio in piccola parte; dell’ossa di San Teodoro in due spartiti; dell’ossa dei 40 martiri in due spartiti; dell’ossa di Santa Barbara; dell’ossa del capo di san Pantaloeone, dell’ossa del corpo di san Pantaleone; dell’ossa di san Trifone, e che corrispondono ancora oggi al contenuto del reliquiario. Il Cocchi in modo piuttosto arbitrario ed acritico, nel 1903 attribuisce il reliquiario all’orafo Matteo di Lorenzo, il cui nome di ritrova negli spogli strozziani relativamente alle date 1397 e 1398 quando gli sono registrati pagamenti “per il lavorio di reliquiari che per lui si è fatto e che si fanno dell’orliquie di San Giovanni (1397) e per quello “che si fa del tabernacolo per tenere l’orliche che sono di San Giovanni (riportati anche da Frey (1911 p. 367). Il Rossi (1933), pur contestando al Cocchi l’attribuzione dell’intero reliquiario a Matteo di Lorenzo, ne riconosce l’esecuzione della parte inferiore al XIV secolo. La Becherucci, riprendendo in mano l’intera questione, accoglie come possibile l’opera di Matteo di Lorenzo anche se sottolinea che ciò che è rimasto complessivamente del suo intervento è troppo poco per poter valutare la sua personalità. Per la parte superiore, invece, la Becherucci distingue due interventi che si sarebbero succeduti all’interno del XV secolo. Anteriore quello legato ai gradini del piede, successivo, fin oltre la fine del secolo l’intervento sul fusto. Il vasetto cilindrico, con la cupoletta a scaglie, le tre colonnette ed i piedini a volute vengono invece ricondotti ad un intervento di Bernardo Holzmann entro il primo quarto del XVIII secolo.
Relazione iconografico religiosa
Anche se non è certo, potrebbe essere che le reliquie contenute nell’urna esagonale di questo reliquiario non fossero in effetti destinate a questo contenitore ma che vi ci possano essere state collocate in un momento successivo, rispetto alla loro collocazione originaria, forse tra la seconda metà del XVIII e il 1818. In sostanza le reliquie ivi contenute non sarebbero le reliquie “carolinge” come attestato dall’iscrizione che corre lungo a base dell’urna, ma, per la maggior parte, quelle provenienti, nel 1394, dalla donazione della veneziana Nicoletta Grioni, vedova del nobile fiorentino Antonio di Pietro Torrigiani, il cui suocero era stato per alcuni anni segretario dell’imperatore d’Oriente Giovanni VI Cantacuzeno (1292-1383), che erano state destinate ad un’altra urnetta, sempre esagonale, oggi sotto il reliquiario del braccio di San Filippo Apostolo, conservato anch’esso nel Museo dell’Opera del Duomo. Questi spostamenti attestano, pertanto, la vitalità e l’utilizzo delle reliquie e dei loro reliquiari che, nel corso dei secoli, venivano ammodernati e aggiornati al gusto corrente. Il culto delle reliquie dei santi, resti del loro corpo o di oggetti ad essi appartenuti, si afferma nella chiesa cattolica, sin dai primordi ed il reliquiario, nelle infinite fogge e materiali in cui viene realizzato, ne diventa il degno contenitore. Sul reliquiario di San Simeone stilita, gli Operai preposti al Battistero di San Giovanni, ritornarono almeno per tre volte, ogni volta adeguando lo stile del manufatto ad un diverso utilizzo o ad una diversa, o mutata, sensibilità religiosa. Evidente lo slancio finale conferito all’oggetto dal vasetto di cristallo dalla forma di tempietto dove la reliquia irradia la sua potenza salvifica come un faro. La reliquia è, infatti, alla base della fede nella resurrezione dei morti e l’esposizione delle reliquie era la dimostrazione che Dio e i suoi santi “che non hanno visto la corruzione” (Salmi 16 [15], 10; Atti 2, 27), continuano ad essere presenti nella vita degli uomini.