Descrizione
Grande reliquiario architettonico a forma di tempietto costituito esternamente da piede, nodo, mensola, teca, copertura a timpano in argento sbalzato, cesellato e dorato. Il piede dell’oggetto, di forma allungata, il cui bordo esterno, mistilineo, presenta una serie continua di rosette, è caratterizzato da quattro lobature ed è interamente ricoperto da racemi incisi tra i quali sono inserite, sia sul verso che nel recto, due placchette rotonde in argento e smalto rosso rappresentanti lo stemma dell’arte dei Mercanti di Calimala. Dal nodo schiacciato a sezione quadrata, a piccole ghiere e decorato con motivi di foglie d’acanto, si diparte una mensola, decorata come il piedistallo, delimitata da due volute che si raccordano ciascuna in un girale, al centro del quale si dispone un medaglione a smalto traslucido nel quale è rappresentato San Giovanni Battista. Al di sopra si trova la teca all’interno della quale è conservato il Libretto vero e proprio. La teca è composta da due facciate in cristallo di rocca attraverso le quali è possibile vedere il Llibretto e che sono, sia sul verso che sul recto, suddivise in sei parti tra lesene e trabeazione: la parte inferiore èsuddivisa da quattro lesene scanalate con capitello corinzio, quella superiore, da due riquadri laterali con medaglioni con i Quattro evangelisti, Giovanni e Marco, Luca e Matteo, nel recto e nel verso, nelle cui cornici foglie accartocciate si affiancano a fili ritorti, delimitati da due corte lesene con capitello che inquadrano una finestra che si apre sulla miniatura interna del Libretto. Lungo i lati della teca corrono fasce in smalto champlevé con motivi di candelabre. Sopra la teca si trova un timpano centinato con cornice a rosette dorate, con un medaglione smaltato con Cristo in pietà al centro e due angeli inginocchiati sempre in smalto ai lati del medaglione. La cornice del timpano riprende i motivi a candelabre smaltati che correvano sui pilastri laterali della teca. Sulla sommità del timpano si trova una statuetta che rappresenta Cristo risorto in piedi sul sepolcro, mentre ai quattro angoli ci sono quattro aquilotti a tutto tondo che rappresentano l'Arte di Calimala. Nella base della teca, su quattro lati, e nel fregio della trabeazione corre un’iscrizione in latino incisa a lettere capitali.
Il reliquiario del Libretto è un piccolo polittico in oro formato da sei scomparti che si ripiegano su se stessi e nei quali sono contenute le sacre reliquie, indicate in piccolissimi cartigli, sistemate in settantadue trifore applicate sulla parte anteriore degli sportelli e suddivise in quattro file per scomparto. Esso è contenuto all’interno della teca ed è sostenuto dai rami fogliati che fuoriescono da un vaso dorato affiancato da due angeli inginocchiati a tutto tondo e decorato con smalti, otto perle e sei rubini balasci. Alla parte superiore dello scomparto centrale, che conserva le reliquie più importanti (quelle legate alla Passione), è applicata una miniatura su pergamena che rappresenta, sul recto, la Crocifissione di Cristo con San Giovanni e Maria Maddalena, e sul verso, la Trinità e i ritratti di Carlo V di Francia e sua moglie Giovanna di Borbone. La lunga iscrizione sul retro della parte centrale è a niello. Il tergo dei due scomparti laterali estremi è decorato a niello da un campo di gigli di Francia entro losanghe che si trova in vista quando il libretto è chiuso.
Notizie storico critiche
Il reliquiario del Libretto è una delle opere in argento più importanti conservate nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Di esso, nel catalogo del museo del 1969, un’accuratissima scheda di Giulia Brunetti ripercorre tutte le vicende storico critiche. Il reliquiario del Libretto fu donato dal Carlo V di Francia al fratello Luigi duca d’Angiò fra il 1364 e il 1368 e contiene frammenti staccati dalle famose reliquie degli strumenti della Passione di Cristo vendute dall’imperatore d’Oriente Baldovino II Porfirogenito al re di Francia Luigi il Santo, nel 1247, che poi eresse per queste reliquie la Sainte Chapelle di Parigi. Il Poggi ritiene che Carlo avesse donato il reliquiario al fratello nel 1371, lo stesso anno in cui donava all’altro fratello, il duca di Berry, un altro frammento della Croce tolto dalla Sainte Chappelle. Questa ipotesi, sostenuta dal confronto tra il ritratto di Carlo V, morto nel 1379, contenuto nella miniatura all’interno del libretto e un suo ritratto risalente al 1371, presente in una Bibbia oggi conservata al museo Meermanno-Vestreeniano dell’Aia, oltre al fatto che il reliquiario non compare in un inventario del duca d’Angiò compilato tra il 1364 ed il 1368, farebbe datare la realizzazione del Libretto tra il 1368 e, al più tardi, il 1378, anno della morte del re, anche se è più probabile una datazione intorno al 1370. Luigi d’Angiò, adottato come suo successore dalla Regina Giovanna, venne in Italia dove morì nel 1384. Forse aveva portato con sé la preziosa reliquia ma tant’è che questa si riscontra tra le gioie dell’inventario della collezione di Piero de’ Medici nel 1465 (Muntz 1888 p. 40 e 73). Dopo la cacciata dei Medici da Firenze, sempre grazie agli studi del Poggi, il reliquiario si ritrova nelle carte dell’arte di Calimala in uno spoglio strozziano riferito agli anni 1493 45 dal quale si apprende che il reliquiario era stato acquistato per mezzo di Taddeo d’Agnolo Gaddi su commissione dell’Opera di San Giovanni e della Signoria di Firenze, con l’intermediazione di don Leonardo da Ruota abate di Camaldoli, dal Cardinale di Siena Francesco Piccolomini, il futuro Papa Pio III, che ne era entrato in possesso come pagamento di un credito che aveva nei confronti dei Medici. Posto in San Giovanni tra le altre reliquie sotto l’altare dedicato al santo, il reliquiario del Libretto , così conservato, preoccupava i consoli di Calimala che decisero di costruire, come riportano ancora le carte strozziane, un reliquiario dove la reliquia potesse essere conservata e degnamente esposta. Il 30 marzo 1500 fu così deliberato di commissionare all’orafo Paolo di Giovanni Sogliani la realizzazione di un reliquiario in argento per il quale furono fusi “due voti d’argento” appartenenti al Battistero. L’opera era conclusa nel febbraio dell’anno successivo. Essa fu consegnata in pegno alla Repubblica al tempo dell’assedio di Firenze nel 153o e riscattata nel 1532, e continuò ad essere esposta sull’altare d’argento in Battistero fino alla metà dell’Ottocento. Nel 1886 fu destinata al Museo dell’Opera dove però fu esposta soltanto nel 1954. Il reliquiario del Libretto è stato oggetto fin dal XVI secolo di attenzioni, approfondimenti e studi anche se specialmente nelle citazioni più antiche (Albertini 1532, Bocchi 1591 ed cinelli p. 32) i contorni della sua provenienza si fanno più indefiniti. Lo studio maggiormente impegnativo ed esaustivo sul reliquiario del Libretto rimane quello del Poggi (1916-1918) che affronta tutto l’insieme ma dedica particolare interesse alla reliquia del libretto ed ai rapporti con l’arte e la miniatura francese; il Rossi (1956) accetta la datazione del libretto al 1368-78 ma soprattutto mette in risalto la grande raffinatezza del contenitore, un’opera mirabile per l’architettura dell’insieme, i rilievi, gli smalti e le decorazioni rammaricandosi per la scarsa conoscenza del suo artefice. La Brunetti avanza il sospetto che la statuetta, che ritiene si tratti di un San Giovanni Battista, posta sulla cimasa del tempietto su uno zoccolo forse un po’ posticcio, possa non essere riferita al Sogliani. A proposito di questo importante orafo fiorentino la Liscia Bemporad (1992) ha precisato alcuni aspetti delle poco scandagliate vicende della sua biografia legandole poi alla realizzazione del reliquiario del Libretto. Nato nel 1455 il Sogliani condusse almeno sei anni di apprendistato nella bottega di Antonio Pollaiolo di cui risulta già compagno nel 1480 anche se l’atto della sua immatricolazione è del 1484. Da questa data lo ritroviamo solo nel 1500 operante sul rifacimento del reliquiario di San Giovanni Gualberto per Vallombrosa, sul reliquiario del Libretto, nell’aureola del busto di San Giovanni Gualberto a Passignano e in molti altri importanti lavori per San Giovanni e per il duomo fiorentino che risultano documentati ma non più esistenti. Per il lungo intervallo di tempo che intercorre tra la sua immatricolazione e la ripresa dei lavori per Firenze, la studiosa suppone che Sogliani possa aver seguito Antonio Pollaiolo a Roma dove eseguì i monumenti funebri di Sisto IV e Innocenzo VIII e dove muore nel 1498, poco prima della ricomparsa del nostro a Firenze pienamente operante. E le riprove di un ipotetico soggiorno romano del Sogliani, secondo la Liscia Bemporad, si trovano proprio in un’attenta lettura del reliquiario del Libretto. Qui emerge con evidenza la volontà di superare gli stilemi gotici che permangono solo nella base, mentre prevale una grande profusione di elementi classici ( le foglie di alloro, i serti di alloro, i medaglioni con gli smalti, le candelabre, le lesene scanalate). Si superano le incertezze tra gotico e rinascimento ancora presenti nella cultura orafa fiorentina del tempo e si compie un salto qualitativo comune a quegli artisti che avevano avuto un contatto diretto con l’antichità.
Relazione iconografico religiosa
Questo reliquiario è una testimonianza del profondo legame che unì i fiorentini al Battistero di San Giovanni Battista inteso come punto di riferimento di un epoca della loro storia in cui la libertà era stata assicurata dalla struttura democratica della Repubblica. Non appena cacciati i Medici, i responsabili dell’arte di Calimala non esitarono, infatti, ad acquistare per San Giovanni il reliquiario che era stato uno degli oggetti più preziosi della collezione di Piero dei Medici detto il Gottoso, commissionando il suo nuovo contenitore all’orafo Paolo di Giovanni Sogliani che lo realizzò tra il 1500 ed il 1501. Il Libretto con le reliquie degli strumenti della Passione di Gesù Cristo, conservato nel grande reliquiario è una delle più antiche e preziose testimonianza del culto delle reliquie legate alla Passione del Signore. La provenienza di queste reliquie dalla Sainte Chapelle, luogo che era stato espressamente voluto da re Luigi IX, detto il Santo, per conservare le reliquie della Corona di Spine del Signore e successivamente dei frammenti del legno della Vera Croce, tanto che la cappella era divenuta essa stessa un reliquiario, rendono il Libretto e le settantadue reliquie in esso conservate una testimonianza vivente di un rapporto tra storia e fede che qui diventa del tutto tangibile. Le reliquie erano considerate l’evidenza fisica della santità e quelle legate a Gesù Cristo avevano un valore ancora più forte ed evocativo. Principi e sovrani francesi distribuivano con oculatezza e magnanimità piccoli frammenti delle reliquie che a loro erano giunte dai luoghi santi. Il Libretto doveva comunque godere di una sua fama particolare se, una volta in Italia, probabilmente con Luigi d’Angiò, poté ritrovarsi nelle collezioni medicee e da allora rimanere a Firenze, all’interno del Battistero di San Giovanni, come segno della coesione della città. Nell’affrontare il problema di inserire una reliquia piatta e allungata in un contenitore dal quale questa si potesse vedere, Paolo di Giovanni Sogliani inventa, dunque, la struttura di un tempietto che, oltre ad essere anche un tributo alla tradizione fiorentina, evocando la spazialità architettonica del Brunelleschi, di cui ricorda la Cappella dei Pazzi, e i monumenti funebri di Bernardo Rossellino e Desiderio da Settignano, è anche un complesso sistema iconografico per cui esso rappresenterebbe il sepolcro di Cristo modellato sulle tombe umanistiche contemporanee. Nella struttura ideata dal Sogliani, il Battista, santo protettore di Firenze, rappresentato nel medaglione entro la mensola, si pone come elemento mediano tra la parte inferiore del piede su cui è lo stemma dell’arte di Calimala, e la parte superiore, il tempietto, dove è rappresentata la storia della Redenzione: attraverso il Sacrificio di Cristo, evocato dalle reliquie della Passione e dal Cristo in Pietà nella lunetta e narrato nei Vangeli dagli evangelisti nei quattro medaglioni, si giunge alla Resurrezione di Cristo sul sepolcro dove questi è attorniato da ben quattro aquile che rappresentano nuovamente la potente arte di Calimala. Il potere laico ed il potere ecclesiastico che quasi si equiparano in un programma iconografico, non solo religioso ma anche politico, reso possibile dal ritorno in Firenze della Repubblica e delle antiche istituzioni.